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Nelle ultime settimane, sto curando per DOFVILLE (il blog di DOF Consulting, con cui lavoro) un ciclo di post di approfondimento su The Village. Si tratta di un gioco per lo sviluppo delle competenze sociali, che ruota attorno alla metafora del "villaggio" e i cui "abitanti" sono raffigurati in altrettante carte. Uno di questi personaggi è il Narratore e dato che, come avrete capito, il tema della narrazione mi appassiona molto, ho pensato di fondere qui i due post che lo raccontano :)
A chiunque sia capitato di dover convincere o, semplicemente, comunicare a qualcuno la bontà di una propria idea o le potenzialità di un progetto sa quanto sia difficile trasferire in parole l'astrazione di un concetto o la visione di un futuro possibile. I mondi interiori a partire dai quali comunichiamo sono così ricchi e complessi, talvolta così distanti da quelli dei nostri interlocutori, che diventa davvero una sfida riuscire a intendersi. Tanto più se a dover essere comunicata è un'idea di impresa, un'iniziativa di sviluppo, un sistema organizzativo. Ultimamente, si fa un gran parlare di storytelling, che altro non è se non l'attualizzazione in chiave moderna e organizzativa di una delle dimensioni più antiche delle comunità sociali: la narrazione.
mercoledì 3 ottobre 2012
Conversazioni e community management: la funzione odierna del narratore
domenica 2 settembre 2012
Mi piace, non mi piace. Facebook prima di Facebook
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Nel passaggio che segue, Arbasino descrive la natura delle lettere ai giornali. Erano gli anni '80 e i social media ancora là da venire. Ora, provate a sostituire "lettere ai giornali" con "commenti su Facebook". Gli strumenti di comunicazione cambiano, i bisogni espressivi no.
Nel passaggio che segue, Arbasino descrive la natura delle lettere ai giornali. Erano gli anni '80 e i social media ancora là da venire. Ora, provate a sostituire "lettere ai giornali" con "commenti su Facebook". Gli strumenti di comunicazione cambiano, i bisogni espressivi no.
Quelle italiane [lettere ai giornali] dànno per lo più informazioni sullo stato d'animo e d'umore del mittente: mi piace, non mi piace; sono d'accordo, o non sono d'accordo. A ciò si aggiunge sovente il tentativo di spiritosaggine, sarcasmo, battuta: cioè, dopo aver comunicato le proprie impressioni, il bisogno di mostrarsi persone "di mondo", deplorando la nequizia inqualificabile dei tempi ove siamo arrivati.Alberto Arbasino, Un paese senza, Garzanti, Milano 1990, p. 243.
lunedì 20 agosto 2012
Spegni lo smartphone al ristorante? E io ti faccio lo sconto
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C'è un ristorante, a Los Angeles, che ti fa lo sconto del 5% se rinunci a portare con te al tavolo il tuo smartphone. L'invito è quello di lasciarlo all'entrata, chissà che uno dica che accetta di spegnerlo e poi non ci ripensi. Pare che da quando è stata avviata l'iniziativa (all'incirca un mese) dal 40 al 50% dei clienti abbia approfittato dell'offerta. Il proprietario, che è anche lo chef, spiega che il suo è un ristorante che cerca di ricreare un ambiente che sia il più possibile famigliare e che l'invito a lasciare i cellulari all'entrata nasce dalla voglia di “semplificare” e di aiutare le persone a “rientrare in contatto” fra loro.
Anche da noi, si comincia ad assistere a qualche tentativo di regolamentazione della tecnologia mobile. Per esempio a Udine, dove da qualche mese il Comune ha lanciato la campagna per la diffusione di zone «cell free», anche negli esercizi pubblici, che vengono invitati ad esporre cartelli che recitano «locale libero da cellulare». In pratica, si chiede ai clienti di spegnere il cellulare o, almeno, silenziarlo.
Ora, non discuto che la presenza degli smart phone nei locali pubblici possa essere a volte seccante e intrusiva, e che l'educazione delle persone spesso difetti (in questo, come in moltissimi altri ambiti), ma mi colpiscono sempre gli inviti a rallentare l'utilizzo della tecnologia per favorire il ritorno a una presunta età dell'oro della comunicazione, come se il deterioramento dei rapporti personali dipendesse dal diffondersi dei cellulari o di qualunque altro strumento. Un po' come dire che se ci sono tanti morti sulle strade è perché circolano tante macchine, non perché i guidatori corrono o non rispettano il codice. Se esco a pranzo o a cena con qualcuno che, invece di darmi bada e attenzione, controlla i messaggi, le mail o le notifiche dei social network, non ritengo che la “colpa” sia dello smartphone che glielo consente, ma mi faccio delle domande sul rispetto che l'altra persona nutre nei miei confronti e su quanto gli interessi trascorrere veramente del tempo con me.
C'è un ristorante, a Los Angeles, che ti fa lo sconto del 5% se rinunci a portare con te al tavolo il tuo smartphone. L'invito è quello di lasciarlo all'entrata, chissà che uno dica che accetta di spegnerlo e poi non ci ripensi. Pare che da quando è stata avviata l'iniziativa (all'incirca un mese) dal 40 al 50% dei clienti abbia approfittato dell'offerta. Il proprietario, che è anche lo chef, spiega che il suo è un ristorante che cerca di ricreare un ambiente che sia il più possibile famigliare e che l'invito a lasciare i cellulari all'entrata nasce dalla voglia di “semplificare” e di aiutare le persone a “rientrare in contatto” fra loro.
Anche da noi, si comincia ad assistere a qualche tentativo di regolamentazione della tecnologia mobile. Per esempio a Udine, dove da qualche mese il Comune ha lanciato la campagna per la diffusione di zone «cell free», anche negli esercizi pubblici, che vengono invitati ad esporre cartelli che recitano «locale libero da cellulare». In pratica, si chiede ai clienti di spegnere il cellulare o, almeno, silenziarlo.
Ora, non discuto che la presenza degli smart phone nei locali pubblici possa essere a volte seccante e intrusiva, e che l'educazione delle persone spesso difetti (in questo, come in moltissimi altri ambiti), ma mi colpiscono sempre gli inviti a rallentare l'utilizzo della tecnologia per favorire il ritorno a una presunta età dell'oro della comunicazione, come se il deterioramento dei rapporti personali dipendesse dal diffondersi dei cellulari o di qualunque altro strumento. Un po' come dire che se ci sono tanti morti sulle strade è perché circolano tante macchine, non perché i guidatori corrono o non rispettano il codice. Se esco a pranzo o a cena con qualcuno che, invece di darmi bada e attenzione, controlla i messaggi, le mail o le notifiche dei social network, non ritengo che la “colpa” sia dello smartphone che glielo consente, ma mi faccio delle domande sul rispetto che l'altra persona nutre nei miei confronti e su quanto gli interessi trascorrere veramente del tempo con me.
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