venerdì 4 maggio 2012

Condivido ergo sum: Twitter, il pensiero e la conversazione

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Udine, 6 maggio, prima giornata di una manifestazione che si chiama Vicino/lontano.
Alle 21.30 è in programma il confronto “Dove va la filosofia?”, fra Pier Aldo Rovatti e Maurizio Ferraris. Dopo mezz'oretta di fila e di ritardo sul programma, entriamo. La chiesa di San Francesco è strapiena e, come mi capita sempre in occasioni simili, mi stupisco della sproporzione numerica che c'è fra chi va a sentire dei filosofi parlare e il numero degli iscritti alle facoltà di Filosofia. Forse, la spiegazione sta nella frase con cui esordisce Rovatti: vi aspettavate un duello? Resterete delusi, perché anche se sul programma c'è scritto “confronto” e nonostante il fatto che da mesi ci lanciamo frecciate più o meno cattive dalle pagine di libri e giornali, noi non ci piegheremo alla logica del contraddittorio, dell'arena, del sangue. In breve, non siamo in televisione. (Le cose non sarebbero poi andate così, ma non è di questo che voglio parlare qui).



Per farla molto, ma molto semplice la situazione è questa. Abbiamo di fronte due dei massimi filosofi italiani che, per anni, hanno condiviso l'approccio teorico noto come “pensiero debole”. Poi, uno dei due (Ferraris) ha cominciato a farsi delle domande: non è che quell'orizzonte di pensiero non era sufficiente a spiegare la realtà? Lo stravolgimento dell'espressione “non ci sono fatti, ma solo interpretazioni” (contro le intenzioni dei pensatori postmoderni) può aver rappresentato la giustificazione e la premessa dell'attuale populismo mediatico, in cui la verità del reale è ormai secondaria e passa in secondo piano rispetto alle costruzioni linguistiche e di senso che attorno ad essa vengono innalzate? Rovatti, dall'altra parte, sostiene che passare “dalla parte” della realtà sia comodo perché evita al pensiero (e alla filosofia) di fare quello che dovrebbe ovvero dare fastidio, urticare, indagare quello che c'è al di là di ciò che vediamo ovvero i meccanismi di incrocio e saldatura fra sistemi di sapere e sistemi di potere su cui ha tanto sudato Foucault.
Comodo un accidenti, risponde Ferraris, perché lui ha perso tanti amici da quando ha cominciato a dire che finché rimani nel campo della speculazione la frase “non ci sono fatti, ma solo interpretazioni” è suggestiva, ma perde di senso se la applichi agli oggetti della vita vera. “Non ci sono Gatti, ma solo interpretazioni” suona in tutt'altra maniera ed è difficile dargli torto. Naturalmente, Ferraris non sostiene (a meno che non lo si ascolti e legga in malafede) che il populismo mediatico deriva dal postmoderno o dal pensiero debole. Dice che molti degli auspici di quella stagione filosofica si sono realizzati  (il trionfo delle interpretazioni, l'esaltazione delle apparenze e dei simulacri, la dematerializzazione della realtà), solo che invece di portare a una gloriosa rivoluzione desiderante o a una liberatoria affermazione della maschera contro la realtà, hanno condotto ai reality show e all'ironia usata come arma contro chiunque, in un dibattito, lavori per portare prove e fatti e non solo per esprimere un proprio punto di vista. Ferraris ce l'ha con l'ironia postmoderna, che equipara tutti i punti di vista nel nome della forza emancipatoria dell'interpretazione, rendendo ogni confronto una semplice schermaglia basata su acrobazie linguistiche e ideologiche. E questo, per chi fa il mestiere del filosofo, non può non essere un problema su cui riflettere, magari per prendere strade diverse, come ha fatto Ferraris.
A questo punto, la serata prende un'altra piega, assumendo toni più accesi. L'impressione è che i due sul palco stiano parlando di filosofia, ma non solo. Che ci sia un non detto di cui non siamo consapevoli perché in gioco ci sono diverse cose, non ultima un'amicizia di lunga data che sembra ridursi a una serie di scambi e rimpalli che vanno dall'ironico, allo sprezzante, al sarcastico, all'attacco puro.

Ma veniamo al vero motivo di questo post. Tutto quello che vi ho descritto io avrei voluto twittarlo, ma non mi è stato possibile. Quasi subito, il signore seduto vicino a me mi dice che devo spegnere il cellulare perché la luce dello schermo gli dà fastidio. (Dimenticavo, noi del pubblico siamo al buio, le luci sono riservate al palco). Se devo scrivere al cellulare, che vada fuori. Cerco di spiegargli che sto trascrivendo le cose che dicono i due per chi sta a casa, ma lui insiste che devo uscire e sbuffa. Sta per saltarmi la mosca al naso, quando mi rendo conto di 3 cose:

  • il signore in questione non ha la minima idea di quello che sto facendo
  • non gli interessa scoprirlo
  • potrebbe non essere il solo e io rischio di trovarmi circondata da persone ostili che mi trattano come l'incivile di turno che disturba col telefonino. Non credo che potrei sopportarlo e, oltretutto, mi sono occupata per troppi anni di organizzazioni di eventi per non sapere che una discussione sarebbe inutilmente spiacevole per me, per gli altri del pubblico, per gli ospiti e per l'organizzazione. 
  • è praticamente impossibile spiegare in poche parole a chi non lo conosce cosa sia Twitter e la sua utilità

Last but not least, non voglio rischiare di attivare la modalità protettiva del @signorHulot e scatenare una rissa molto poco filosofica :)
Per cui, rinuncio e lo twitto.



Dopo un paio d'ore abbondanti, l'incontro finisce (il signore vicino a me se n'è già andato, perché evidentemente il suo grande interesse per la serata aveva vincoli temporali o limiti di sopportazione di cui non sono a conoscenza).
Le luci si accendono di colpo e rimaniamo abbagliati. Se ne accorge anche Rovatti del nostro disorientamento, che dice: “Toh, c'è anche un pubblico!” Ed è lì che mi pare di capire qualcosa, perché la sensazione che mi ha dato quel bagliore non è quella di spossato sollievo che provo quando finisce un concerto e tutti insieme – pubblico e artisti – ci godiamo la fatica positiva della serata, l'energia che scorre e il piacere di un bel momento, ma quello che immagino si provi in uno studio televisivo quando finisce la diretta e tu fai parte del pubblico di sfondo. Ite, missa est. La messa è finita, andate in pace. La scenografia dell'evento di Vicino lontano è quella di un rito e non apre (almeno nelle ore serali) spazi di condivisione, a essere illuminati e proiettati sul grande schermo novella pala d'altare sono sempre e solo gli ospiti, tutto è costruito perché l'attenzione sia diretta unicamente a loro. Lo conferma il fatto che, alla fine, ci sono solo tre domande dalla platea che vengono ascoltate in modo svogliato dal pubblico, mentre ci si infila la giacca e si guarda l'orologio per vedere che ora si è fatta. Tutto è costruito perché i ruoli siano chiari: chi è sul palco e illuminato è l'ospite che dispensa sapere e conoscenza, chi è seduto fa il pubblico che ascolta, ride alle battute degli ospiti e applaude. Di fatto, SIAMO televisione. Broadcasting puro, ciascuno al suo posto.

Abbiamo assistito a uno scambio (per qualcuno più interessante, per altri meno), ma di fatto non abbiamo partecipato. Uscendo nel fresco della notte, mi rendo conto di quanta fatica mi costi ormai prendere parte a rappresentazioni di questo tipo e quanto mi diano ancora più fastidio quando la cornice è quella di una manifestazione culturale. Cara rete, caro Twitter (ma anche caro il mio lavoro, che mi ha aiutato a maturare questo tipo di consapevolezza dei luoghi di relazione in cui voglio stare), mi avete rovinata. Una volta, riuscivo a godermi qualunque tipo di spettacolo - anche un duello all'ultimo sangue fra filosofi - senza chiedermi cosa ci fosse attorno, cosa valesse la pena di essere condiviso, quale fosse la mia responsabilità di trasmissione di quello che andavo sentendo, capendo e pensando in quel momento. Ora non ce la faccio più, ascolto pensiero e condivisione vanno a braccetto e uno senza l'altra non hanno per me molto senso. Mi sento privata di qualcosa quando non riesco a coniugarli. Sono una "nuova barbara”? È possibile, ma non credo che il problema sia mio.

Per chiudere: la partecipazione è anche e sempre più una questione di spazi e di setting, ne sono convinta. In generale, i luoghi di dibattito – anche culturale – hanno nel nostro paese una struttura frontale che esclude in partenza la dimensione di confronto. Inoltre, non sono attrezzati per favorire la condivisione con un pubblico più ampio, non presente fisicamente in loco. Credo che nel 2012 un organizzatore, quando progetta un evento e uno spazio di approfondimento culturale, debba tenerne conto e assumersi la responsabilità di soggetto che dovrebbe facilitare l'interazione e non solo offrire un bello spettacolo.
C'è un mondo là fuori. E questo sì che è un fatto, non solo un'interpretazione.


* l'immagine in testa è tratta dall'album fotografico Facebook di Vicino/lontano dedicato all'incontro

3 commenti:

  1. D'accordissimo su tutto. Credo anche però, che questo mondo di eventi che continua ad ignorare le modalità di nuovo confronto e partecipazione (che non si esauriscono nel "mezzo" tecnologico usato, ma sono in sè una nuova filosofia dello scambio comunitario e comunicativo) sia morto senza saperlo, e continui a perpetrarsi senza chiedersi nulla, specchio trasparentissimo della politica e dell'economia dei vecchi sistemi, ormai alla deriva. Con il suo protezionismo, spesso violento, esala l'ultimo respiro. Beatrice

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  2. @Beatrice, non avrei saputo dirlo meglio: "le modalità di nuovo confronto e partecipazione (che non si esauriscono nel "mezzo" tecnologico usato, ma sono in sè una nuova filosofia dello scambio comunitario e comunicativo)", che è esattamente lo spirito con cui trascorro il mio tempo su social network come Twitter. All'ultimo respiro ho invece l'impressione che manchi ancora un bel pezzo. Un po' perché ieri sera la sala era piena e mi sono sentita davvero in minoranza (il che non è una novità, ma continua ogni volta a colpirmi) e un po' perché mi pare che il mondo della cultura non si stia interrogando sul proprio ruolo (che io vorrei centrale) all'interno di quella "nuova filosofia" che sottende un'idea diversa di comunità...

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  3. Uh, in effeti evento & località sono una coppia di concetti che la rete mette in rapporto in modi imprevisti e imprevedibili… ma io proverei a chiedere alla Pro Loco che cosa ne pensa ^_^

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