sabato 18 settembre 2010

Quadrante esterno 9 o Il cane senza coda

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Qualche anno fa, a un signore che si chiama Marco Minghetti venne un'idea strana: riscrivere le Città invisibili di Italo Calvino. Con grande lavoro di pazienza e di relazione, riuscì a mettere insieme un numero sufficiente di persone (un centinaio, per cui alla fine ci sono state più versioni della stessa città), molto diverse fra loro per tanti motivi ma accomunate dalla passione per l'autore e per il suo lavoro. La sfida era quella di partire dalle città calviniane e dall'esperienza di ciascuno all'interno della macchina organizzativa (di qualunque tipo si trattasse e vista dalla prospettiva di ruoli diversi) e provare a leggere quest'ultima a partire dalle prime.
Il risultato fu un bellissimo libro illustrato e strano, pieno di voci diverse (fra cui anche la mia, non ho ancora capito come) in cui queste persone offrivano una loro rappresentazione personale di cosa è oggi l'organizzazione e di quello che potrebbe diventare. Le aziende in-visibili, questo il titolo. Un "romanzo a colori", impreziosito dalle illustrazioni di Luigi Serafini, in cui al posto di Marco Polo e dell’Imperatore della Cina (il primo raccontava al secondo le città che aveva visitato, ricordate?), il confronto si svolge fra l’Amministratore Delegato di una corporation e il suo Direttore del Personale.

I più si sono cimentati in ambientazioni futuristiche e fantascientifiche, declinando a modo loro questo dialogo e anch'io, in una delle due città che ho scritto (una con l'amico Alessandro Rinaldi, più lynchiana) ho scelto questa via. Un po' per passione verso il genere, un po' perché è più facile scrivere di cose che non esistono che di cose che esistono. Almeno, a me così pare. La città scelta era Clarice, guazzabuglio, magazzino, ricettacolo di reliquie di un tempo passato, finito. Facile a dirsi, ma nella pratica mettere insieme gli scarti con la dimensione organizzativa presenta non pochi problemi. Cosa se ne fa un'organizzazione degli scarti? Per chi, come me, si occupa di organizzazione di eventi culturali (espressione orrenda, ma tant'è) non è un problema da poco, perché lo porta a interrogarsi su cosa rimarrà del lavoro che con tanta fatica si porta avanti giorno dopo giorno e su quale sia la sua reale importanza per la società, presente e futura.
All'epoca ero meno pessimista di oggi e la chiave scelta mi era parsa del tutto surreale. Oggi comincio ad avere qualche dubbio sul fatto che la realtà non supererà la fantasia.

Ogni riscrittura di città era corredata da una colonna sonora ideale, la mia la trovate in fondo al testo. Se ne avete voglia, potete ascoltarla mentre leggete la versione uncut della mia personalissima Clarice. (sull'altra città, ci sarebbe una storiella divertente da raccontare, magari ve ne parlo un'altra volta;)


CLARICE
Anno 2288, Orlo Orientale Esterno della Galassia.

Clarice apparve all’improvviso alla vista di Deckard, preceduta soltanto dal ronzio delle tendine oscuranti della navicella che si aprivano per effetto del campo gravitazionale del pianeta. Appena sbarcato nella capitale, si diresse verso l’edificio che su tutti i pianeti della galassia ospita le due istituzioni più importanti: l’Ufficio di Rappresentanza Imperiale e il Palazzo delle Attività Produttive. Lungo la strada, ripensò alla conversazione che si era svolta solo il giorno prima nell’Ufficio Galattico Imposte sui Rifiuti, sul Pianeta Ministeriale, a distanze siderali dal luogo in cui si trovava ora.
“È inammissibile!” strillò Fordgates.
“C’è qualche problema coi rapporti trimestrali, signore?” “Ancora non ha inquadrato il pianeta Clarice nei registri, sono anni che ci lavora! Cosa diavolo producono in quel posto sperduto?!”
“Cosa dovrei fare, signor Direttore Interstellare? I rapporti arrivano con periodicità insufficiente, da quello che contengono non ho modo di rendermi conto della situazione…”

“Diamoci un taglio, vada a verificare una buona volta! Diecimila rapporti non valgono quanto una buona occhiata di persona!”

“Su Clarice?? Ma è nel Quadrante Esterno 9! Non abbiamo nemmeno tutte le mappe stellari di quell’area!”
“Basta! È deciso ormai, partirà domattina con il primo convoglio disponibile. Ah, Deckard! Non faccia come al solito di testa sua, non lavori di fantasia. Si ricordi che è a un passo dalla pensione. Applichi le procedure alla lettera, osservi, registri e torni a riferire. Buon viaggio, ci rivediamo fra due giorni.”

Appena messo piede nell’edificio, però, si accorse subito che quello era diverso da tutti i palazzi del genere che gli era capitato di visitare. Nella hall principale, una statuetta raffigurante un cane senza coda faceva bella mostra di sé dentro un’enorme teca di cristallo. La didascalia recitava: “Cane di ceramica del XIX secolo. Produzione artigianale”. Sconcertato da quella vista, Deckard cominciò a vagare per sale e corridoi, ma più vi si inoltrava, meno si capacitava della natura del luogo. Non incontrò anima viva. Vide un’infinità di oggetti che lo fecero pensare a un pianeta artigianale, ma poi, quando credeva di aver capito, ecco dei mucchi di carbone, chiari segni della civiltà industriale degli inizi, e poi ancora bulloni, scarti di macchine utensili a lui sconosciute, nastri trasportatori, componenti di silicio sparsi qua e là, computer, schermi al plasma della metà del ventunesimo secolo, simulatori virtuali, motori a improbabilità di prima generazione del ventiduesimo…
Dopo due ore di vagabondaggi infruttuosi fra pile confuse di carabattole, oggetti posati su cuscini di velluto, chiusi in bacheche o semplicemente ammassati senza criterio, si ritrovò nell’atrio principale, a fissare nuovamente quel singolare cane di ceramica.

“Abbiamo dimenticato ormai l’arte di fabbricazione di oggetti simili, non trova?” Deckard si girò di scatto, rendendosi conto subito di trovarsi di fronte al custode.

“Già…sono un impiegato dell’Ufficio Galattico Imposte sui Rifiuti. Abbiamo un problema in sede col vostro pianeta, non riusciamo a capire cosa producete e quindi non sappiamo come applicare le regole sulla tassazione galattica dei rifiuti. Mi può aiutare?”

“Spiacente, non produciamo più nulla da un pezzo. Ora , facciamo qualcosa di meglio, non l’ha capito durante il suo giro?”

“Temo proprio di no. Ho visto talmente tante cose…” La parola che gli venne in mente era ‘inutili’ ma gli sembrò scortese dirla. “In due ore di ispezione è come se mi fosse passata davanti agli occhi l’intera storia dell’economia planetaria.”

“Bravo, ma allora scherzava quando poco fa ha detto di non aver capito cosa facciamo qui.”
“Non riesco proprio a capire invece, a cosa servono tutte queste cose? Sono utili in qualche modo?”
“Certo che lo sono, figliolo, è solo che tu non capisci come”.

“Dunque, voi conservate tutti questi oggetti, che hanno una qualche utilità, ma non evidente. Già questo va contro la legge 456.999
25, varata dal Parlamento Interstellare…”
“Scusa se ti interrompo, figliolo, qui siamo un po’ lontani dal tuo Parlamento…”

“Non è il mio Parlamento, è il NOSTRO Parlamento, di tutta la Galassia!”

“Dicevo, il TUO Parlamento può aver emesso tutte le leggi che vuole, ma qui, in questo angolo sperduto di Universo non c’è nessuno che possa controllare se vengono applicate o meno.”
“Certo che no, siete così lontani! Voi però dovreste sapere cosa fare. Perché allora non lo fate?”
 
Deckard ricordava di aver letto qualcosa su Clarice molti anni prima, quando ancora si trovava all’Accademia di Formazione Agenti del Fisco, ma non riusciva a recuperarne un ricordo esatto. Sapeva che un tempo era stato un principato indipendente, con il suo parlamento e le sue leggi, ma poi si era progressivamente isolato dal resto della Galassia. Nel database dell’ufficio, le uniche notizie sul pianeta riguardavano una rivolta a sfondo mistico, una cosa di almeno due secoli prima che aveva a che fare con la conservazione della conoscenza, con il valore eterno delle cose…
Un dubbio atroce si fece strada nella sua mente, risvegliando il suo intuito di Ispettore. “Non è possibile, non questo!” Decise che, per quanto improbabile, poteva essere proprio così… Doveva saperlo subito. L’omino lo guardava divertito.

“Ok, ricominciamo. Voi avete tutto questo, da molto, molto tempo. Lo raccogliete e lo tenete qui, a disposizione di tutti. Sostenete che questi rottami possano produrre valore, ma non sapete dirmi in che modo e, soprattutto, questo non può accadere nell’immediato. Un pianeta intero che difende dei rifiuti.”

“Vedo che pian piano cominci a capire, ma molte cose ancora ti sfuggono. Primo, non sono rifiuti, ma memorie, resti, documenti di civiltà. A dire il vero, sono rimasto solo io a prendermene cura, anche ai nostri giovani queste cose non importano più granché.”

“…Allora ho capito bene, questo è un MUSEO???!!!”

“Un museo del sapere, del lavoro, dell’intelligenza dell’Uomo e ovviamente di tutte le altre specie dell’Universo.”

“Ma è contro la Legge! L’articolo 43 del Codice Unico stabilisce chiaramente che è vietato conservare, diffondere e investire su sapere che non sia sfruttabile e implementabile immediatamente!”

“Come ti ho già detto, qui le vostre leggi non contano molto e poi sono un sentimentale, mi piace continuare le tradizioni.”
“Dovrò denunciarvi! Lei, tutti, l’intero pianeta, qui si va addirittura oltre il già gravissimo reato di evasione della tassa sui rifiuti. Tecnicamente, QUI È TUTTO UN RIFIUTO. Solo per pagare gli interessi, non vi basterebbe un’eternità!”
“Non farai nessuna denuncia, caro. Resterai qui con noi e darai il tuo personale contributo alla causa, come tutti gli ispettori che ti hanno preceduto. Farai parte di questo museo…per sempre. Non ci sei passato per la sala degli ispettori imperiali imbalsamati? Sai, ne andiamo molto fieri.”

 
Deckard fece appena in tempo a sentire sulla pelle il calore della pistola a raggi paralizzanti con cui il custode gli aveva sparato, prima di cadere sul pavimento con un tonfo. L’ultima cosa che vide fu quell’orribile cane senza coda che lo osservava beffardo.



Nino Rota - O' Venezia Venaga Venusia

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