sabato 13 aprile 2013

Joyce, il regista della vita qualunque

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Dalla board su Pinterest che Einaudi ha dedicato al libro 
Questo inizio d'anno ha visto finalmente la luce, dopo una lunga attesa e per meritoria iniziativa di Einaudi, la traduzione dell'Ulisse di Joyce del grande narratore Gianni Celati.

Non voglio entrare nel merito - che lascio ai critici o agli aspiranti tali - se si tratti di una traduzione più o meno buona, perché lo trovo secondario.

Per come la vedo io, chi ama questo libro  non può che essere contento fin nel profondo che gli sia data un'altra possibilità di leggerlo, di percorrerne - seppur in modo leggermente diverso - le stesse strade, sentire gli stessi suoni (perché, come dice benissimo Celati nell'introduzione questo "è un libro sentito e sostenuto da quella speciale percezione che è la musica"), riconoscere volti che hanno una ruga sistemata più in su o in giù, una ciocca di capelli più spettinata, un vestito più sgualcito, ma che sono sempre loro.

Li riconosci perché te li ricordi, ma ti sembrano diversissimi, poi vai a confrontare la versione precedente, quella su cui all'università hai sudato per quell'esame di letteratura inglese e... meraviglia, scopri che le differenze non sono poi così eclatanti.
Devi fartene una ragione, il libro è lo stesso, eppure...


Tutto, questa volta, mi sembra diverso, forse perché sono io ad essere diversa. In ogni caso, ho scoperto che con la percezione cambiano anche le preferenze.

Ogni lettore appassionato ha il suo capitolo pezzo o personaggio preferito. Ci sono i fan del quasi metafisico Dedalus, di Bloom (ometto qualunque nelle cui piccolezze e debolezze tutti ci possiamo riconoscere) e quelli del famoso, umanissimo e sensuale monologo di Molly Bloom. Yes I said yes I will Yes...
Io, questa volta, devo ammettere che preferisco i pezzi più "corali", quelli in cui la voce narrante di un'unico personaggio si scioglie nei pensieri, nelle speranze, nei sospiri di una città intera, in cui emerge un altro protagonista di questo lunghissimo e fantastico affresco di vita, che è Dublino stessa.
Vita qualunque, vita allo stato puro, che assomiglia molto a quella che Stephen riconosce nelle grida che provengono dalla strada vicina all'istituto dove insegna e che diventano per lui addirittura qualcosa di sovrumano ("Quello è Dio... un grido per strada").

Questa volta, molto più delle altre, l'Ulisse mi sembra un film. Nel suo contenere tante storie e nel passare dall'una all'altra con la noncuranza e la leggerezza di un volo d'uccello, captando frammenti di umanità come solo la macchina da presa sa fare.

Dziga Vertov, L'uomo con la macchina da presa (1929)

Di cinema parla lo stesso Celati, sempre nell'introduzione, quando spiega che il meccanismo dello stream of consciousness (che diventa subito flusso di vite, perché se una cosa impari da questo libro è che tutti i destini sono collegati fra loro, così come i piani temporali e i tempi del desiderio) sradica alla base l'idea che un romanzo debba avere una trama lineare, ricordando in questo l'opera di un altro narratore rivoluzionario, il grande Vertov e il suo capolavoro L'uomo con la macchina da presa, di soli sette anni successivo alla pubblicazione dell'Ulisse.

Del rapporto fra Joyce e il cinema si è detto tanto, sia per la natura intrinsecamente "cinematografica" della sua narrazione che per la passione di Joyce stesso per il cinema. A Trieste, dove all'epoca del suo tormentato soggiorno ce n'erano tante, gli venne addirittura l'idea di aprire una sala cinematografica anche a Dublino. La chiamò Volta, ma fu un'avventura imprenditoriale breve, naufragata nel nulla. In quel periodo, a Joyce andavano tutte storte, diciamolo pure.

Roberto Rossellini, Viaggio in Italia (1953)

Ovviamente, ci sono poi le trasposizioni più o meno dirette che sono state fatte dei suoi romanzi. Lo sapevate, per esempio, che Viaggio in Italia di Rossellini è ispirato a The Dead? Nel 2001, il critico Kevin Barry - nel suo saggio sulla trasposizione più famosa e riconosciuta realizzata da John Huston (The Dead, appunto, del 1987) - mostrò come interi dialoghi del film di Rossellini fossero ripresi pari pari dal racconto joyciano.

Oltre a Huston, qualcuno si era già coraggiosamente cimentato con Finnegans Wake (la prima è stata Mary Ellen Bute in Passages From Finnegans Wake, nel 1965-67) o chi ha trasferito le peregrinazioni di Bloom e Dedalus in una città della Repubblica Federale Tedesca del 1980, mescolandole con una piece teatrale del poeta psichedelico inglese Neil Oram e con l'Odissea omerica (Uliisses del regista d'avanguardia Werner Nekes). C'è persino chi (e forse è stato il più folle di tutti) ha cercato di renderlo con una narrazione più “tradizionale”, come ha fatto Sean Walsh col suo Bloom, del 2003. Ma l'Ulisse ha influito in modo molto più esteso sull'immaginario del  ventesimo secolo. Anche se il film è ispirato a un racconto di un altro grandissimo, Cortázar,  pensiamo solo alla prima parte di Blow-Up di Antonioni, in cui il fotografo protagonista impersonato da David Hemmings attraversa più o meno da spettatore una Londra dalle molte facce per far ritorno nella propria casa-atelier...

Michelangelo Antonioni, Blow-Up (1966)

E sempre nella Londra degli anni '60, invece che nel 1904 come da originale, è ambientata la versione più conosciuta e forse più riuscita dell'Ulisse ovvero quella confezionata da Joseph Strick. Realizzato nel 1967, il film è stato curiosamente proibito in Irlanda fino al 2001. Non ho mai capito il perché. Colpa di Molly, probabilmente.

Joseph Strick, Ulysses (1967)
Infine, se vi va e avete 5 minuti potete guardarvi il corto animato dell'artista e musicista irlandese Timothy Booth, Ulys. Credo che Joyce si sarebbe fatto una bella risata ;)



[Nel 2009, il Trieste Film Festival ha dedicato una sezione della sua programmazione proprio al rapporto fra Joyce e il cinema e dal catalogo di quell'edizione sono tratte alcune delle informazioni sui film che trovate in questo post]

3 commenti:

  1. Davvero interessante questo breve excursus sull'Ulisse e sul suo legame col cinema. Ammetto di essere una dei molti che hanno desisteto nella lettura del romanzo ma so per certo che è una di quelle letture solo rimandate a quando sarà il momento giusto.

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  2. grazie @hetschaap! Ricordo che la prima volta che l'ho letto è stato per imposizione (l'esame di cui parlo nel post, appunto) e che ne avevo molta paura. Però l'ho amato fin da subito e riletto immediatamente. La sensazione che ne ho avuto fin dal principio è stata che io e il libro ci "intendessimo". Mi pareva di intuirlo più che di capirlo e continua a essere così ancora oggi. Penso che l'Ulisse sia uno di quei libri rispetto a cui puoi solo entrare "in relazione", prendendola sul personale come faresti con un essere umano. Qualcosa fra me e "lui", come in una specie di corpo a corpo continuo...

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