Sembra ormai che l'estate sia arrivata, anche ad Amburgo. Gli uccellini cinguettano fra i rami degli alberi, la scuola sta per finire e lasciare spazio al tempo dilatato delle vacanze. Solo Daniel, timido insegnante di fisica, ha qualcos'altro a cui pensare: le sei settimane di noia mortale che lo attendono. Nessun piano per le vacanze e nessuna ragazza che renda più sopportabile la mancanza di cose da fare. Un giorno, in un mercatino, Daniel compra un anello su cui è raffigurato il simbolo azteco del sole. La ragazza che glielo vende, Juli, gli giura che vale ogni centesimo che costa perché l'anello in questione garantisce a chi lo porta una grande fortuna in amore. Tutto quello che Daniel deve fare è cercare una ragazza che indossi lo stesso simbolo. La sera stessa, a una festa, Daniel conosce una bella ragazza turca, Melek, e scatta il colpo di fulmine. Anche perché lei porta addosso proprio il simbolo del sole (nel frattempo, Juli, che si era procurata anche lei una maglietta raffigurante un sole per far colpo sul professorino, ci rimane male). Melek, però, sparisce nella notte. Daniel riesce a ricordarsi che la ragazza gli ha parlato di un incontro importante che aveva a Istanbul. Decide di partire, ma chi incontra per strada mentre fa l'autostop? Nientemeno che July stessa. La carica a bordo e inizia così un viaggio che li porterà fino a Istanbul attraverso l'Europa sud-orientale. Durante il percorso succederà di tutto: Daniel perde macchina, documenti e bagagli. Anche July lo lascia e lui si ritrova al confine turco senza passaporto e con un'altra ragazza turca che trasporta nel baule dell'auto il cadavere del nonno morto in Germania. E quella storia dell'anello che fa trovare l'amore era tutta una bufala?
Questa, in breve, la trama di IM JULI, il road movie di Fatih Akin che Alpe Adria Cinema propone ai suoi soci il 3 giugno al Cavò_rifugio videoespositivo. Tedesco di seconda generazione, nato ad Amburgo nel 1973 e di origini turche, Fatih Akin esprime nelle sue pellicole un mondo sinuoso e delicato, poetico e al tempo stesso ironico e crudo. Racconta conflitti culturali, identità violate, vite on the road, aspri drammi quotidiani. Il suo non è solo cinema d'emigrazione, sebbene nelle sue opere il distacco tra la patria d'accoglienza e quella d'origine sia sempre un tema forte e sentito. Nelle strade brulicanti della Germania, nei vicoli bui, nei silenzi e nei rumori sconfinati, sembrano rivivere le bellezze e le contraddizioni della Turchia. Anche in questo Im Juli, del 2000, dietro l'intreccio della storia d'amore si ritrova la riflessione sulle radici, che per Akin sono sempre da riscoprire. Ormai più che affermatosi a livello internazionale, Akin ha studiato comunicazione visiva all'Accademia di Belle Arti di Amburgo. Il primo corto Sensin - Du bist es! (1995) vince il premio del pubblico al Hamburg International Short Film Festival. L'esordio nel lungometraggio arriva nel 1997 con Kurz und schmerzlos (Short Sharp Shock), un puzzle denso e colorato sulle vite di tre immigrati (un turco, un serbo e un greco) ad Amburgo. Il film ottiene il Pardo di Bronzo al Festival di Locarno e il premio come miglior esordiente ai Bavarian Awards di Monaco. Dopo Im Juli (2000) gira Wir haben vergessen zurückzukehren (I Think About Germany: "We Forgot to Go Back" , 2001), un progetto molto intimo, documentario sul ritorno dei genitori del regista dalla Germania alla Turchia, che diventa pretesto per esplorare sentimenti comuni a tutte le persone lontane dalla propria casa, non necessariamente quella d'origine. Solino (2002) è un'altra storia di immigrazione, questa volta di una famiglia pugliese trasferitasi a Duisburg negli anni '60. Nel 2003 il regista fonda con l'amico Klaus Maek una piccola casa di produzione, la Corazón International. La società realizza i suoi film, supporta e co-produce il debutto alla regia del turco Oezer Kiziltan, Takva - A Man's Fear of God (2006), diventa partner del documentario italiano Uomini d'onore (Francesco Sbano, 2006) e di Mamorosh del serbo Moma Mrdakovic. È il preludio al successo internazionale che Akin ottiene nel 2003: La sposa turca (Gegen die wand, Head-On) vince l'Orso d'Oro al Festival di Berlino. Il film è un dramma interetnico che si muove tra la difficoltà di rimanere fedele alle tradizioni e la voglia di abbracciare il nuovo. Un film spigoloso e al tempo stesso delicato, che trova un punto d'equilibrio tra le pulsioni mélo di Fassbinder (cui Akin viene paragonato fin dai primi lavori), la stralunata comicità di Kaurismaki e Kusturica, la coralità polifonica dei perdenti di Jim Jarmusch, un riferimento mai nascosto dall'autore. Il tutto è sottolineato dagli intervalli musicali di una immobile banda che suona sulle rive del Bosforo. Ed è proprio la musica al centro del successivo Crossing the Bridge - The Sound of Istanbul (2004). Presentato con successo a Cannes e in moltissimi altri festival in giro per il mondo, il film segue il compositore Alexander Hacke, esponente dell’avanguardia musicale tedesca negli Einstürzende Neubauten, che ripercorre il viaggio che fece in Turchia per scrivere la colonna sonora della Sposa turca. Le emozioni, i rumori, i colori di una metropoli che segna non il confine ma l’incontro fra Oriente e Occidente, e soprattutto le sue melodie, fra psichedelica, black music turca, hip hop, street music e breakbeat, fino alla musica popolare turca, alla tradizione kurda, alla danza dei dervisci. Il ritorno alla fiction è del 2007 con Ai confini del Paradiso (Auf der anderei Seite, The Edge of Heaven), miglior sceneggiatura al Festival di Cannes. Sei personaggi che si incrociano, tra Amburgo, Brema, Istanbul, Trabzon, sradicamento, confusione esistenziale, solitudine. Attualmente, Akin sta lavorando a una commedia, Soul Kitchen, e a un documentario, Garbage in the Garden of Eden, un lavoro sulle peripezie di un paesino sulle sponde del mar Nero che rischia di diventare un'enorme discarica a cielo aperto.
questo post viene pubblicato in contemporanea su Cavò, il blog-rifugio di Alpe Adria Cinema
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