L'ho verificato ancora una volta lo scorso weekend a Pietrasanta, dove si è svolto Anteprime 2013, un festival originale e divertente, pensato per chi ama la letteratura ed è curioso. Il sottotitolo, infatti, recita: Ti racconto il mio prossimo libro.
In cosa consiste la formula? Per 3 giorni e rigorosamente in orario serale (per consentire a chi di giorno lavora o va al mare, vicinissimo, di partecipare agli incontri), una cinquantina di scrittori accetta il gioco di svelare ai lettori il contenuto del proprio libro in uscita. Pochissime, infatti, le novità già disponibili. Nella maggior parte dei casi, se ne parlerà appena a settembre, ma questo non sembra spaventare i lettori, anzi.
L’iniziativa, nata dalla collaborazione tra le case editrici Einaudi, Electa, Frassinelli, Mondadori, Newton Compton, Piemme, Sperling & Kupfer e il comune di Pietrasanta, ha infatti avuto un successo spettacolare: + 43% di presenze rispetto al 2012 (5000 persone solo a sentire Dan Brown).
Senza contare che oltre un milione di persone sono state raggiunte da 4.200 tweet pubblicati da quasi 1000 persone, fra cui la sottoscritta :)
Sono stata invitata a partecipare e a raccontare su Twitter in diretta quello che più mi andava di questa originale kermesse. Non ho potuto resistere (per leggere i miei e tutti gli altri tweet e post su Instagram che sono stati prodotti, #anteprime13; se non avete voglia di leggere ma vi piace guardare le foto ecco il LINK a quelle ufficiali).
Mi è toccato fare delle scelte, perché gli incontri erano suddivisi per fasce e avrei voluto sentire (e vedere) più di quanto mi è stato possibile. Dato che l'ubiquità non è (ancora) fra le mie skill, mi sono armata di coraggio e ho scelto.
Così hanno fatto le altre blogger. Gloria Ghioni, per esempio, che ha osservato e raccontato il festival con gli occhi e la tastiera di @Cletteraria, ha identificato un filone che ha chiamato della gran fatica di scrivere. Noemi Cuffia (@tazzinadi), ormai scrittrice anche lei a tutti gli effetti dato che è appena uscito il suo Il metodo della bomba atomica, si è concentrata sullo spirito dei luoghi e le emozioni trasmesse dagli incontri, Paola Faravelli (@Paola_Faravelli) e Silvia Canini (@BiNbaa) hanno twittato e fotografato tantissimo, mostrando i risvolti più ironici la prima e i volti delle persone la seconda. Caso ha voluto (anche se il caso non esiste, diciamoci la verità) che io seguissi in parte presentazioni diverse dalle loro, per cui anche l'impressione complessiva che ne ho ricevuta è stata differente.
Quello che ho ritrovato spesso, nei miei 2 giorni di Anteprime, è stato il tema del mito e del monumento, ma anche il rapporto fra grande Storia e storie personali. Provo a raccontarvi questo filo, che a me è sembrato unire in un unico discorso i Wu Ming e Raoul Casadei, passando per Alessandro Perissinotto e Adriano Prosperi e incrociando generi molto diversi: dal romanzo al saggio storico, dal noir alla musica da balera.
Ho ascoltato anche Dan Brown, ma per raccontarvi quello non sono ancora pronta ;)
Wu Ming o della rivoluzione
Ora, io ho una passione smodata fin dai loro esordi per questi cavalieri della narrazione, per cui potete ben capire quale sia stata la mia gioia nello scoprire che a breve uscirà un loro nuovo romanzo ambientato durante la Rivoluzione francese, anzi, durante il Terrore. Si intitolerà L'armata dei sonnambuli, bellissimo.
Loro (per l'occasione, WM2 e WM4) sono stati come sempre bravissimi: l'hanno raccontato sfoderando un fascino da incantatori di serpenti, dimostrando di sapere benissimo di cosa parlano.
Non che siano nuovi alle rivoluzioni, anzi.
Con Q (nell'ormai lontano 1999), hanno raccontato in modo magistrale e insuperabile le rivolte contadine nella Germania del '500, in Altai l'origine di quel “fantomatico” scontro di civiltà fra cristianesimo e islamismo tornato di moda dopo l'11 settembre. Manituana è un'incursione “dal basso” nelle vicende che hanno portato alla Rivoluzione americana. E cos'era 54, se non la storia del vero mito fondante dell'Italia repubblicana ovvero il boom degli anni '50, la rivoluzione dei consumi?
Ciononostante, ha chiarito subito WM2, gli mancava LA rivoluzione.
Ora, come si fa a raccontare un evento fondante qual è la Rivoluzione francese, momento iniziale in cui la democrazia occidentale ha cominciato ad avere un nome? Sappiamo tutto di questa rivoluzione, molto di più di quelle nostrane, come fa giustamente notare Wu Ming 2. Per verificarlo, è sufficiente fare una ricerca tematica sul sito della Biblioteca Nazionale francese, gallica.bnf.fr, e accettare il rischio di restare intrappolati in un labirinto di nozioni, resoconti, date, cronache. Ogni giornata, ogni momento sono stati documentati.
Come raccontare, allora, una nuova storia? Cercando le crepe nel monumento.
Con monumento si intende l'evento che acquista una statura tale da non essere messo più in discussione, rinegoziabile.
Il problema ulteriore del Terrore, spiegano i WM, è che il Terrore - per come lo conosciamo oggi – nasce dall'osservazione, l'esperienza e interpretazione di chi ha visto, vissuto e studiato le dittature del '900. Perciò, la narrazione che ne è derivata, quella che ingenuamente tendiamo a considerare come la versione “ufficiale”, è difficile da superare, perché assomiglia quasi a un “mito delle origini”. E come si fa a mettere in discussione l'Eden di un'intera cultura? Dicevamo delle crepe.
Insinuarsi fra le crepe significa, in fondo, cercare dei buoni personaggi, che abbiano qualcosa di nuovo da dire, e raccontare l'evento dalla loro prospettiva particolare, liberandosi delle “rappresentazioni” ufficiali. Illuminare in un certo senso quegli angoli che nessuno si è ancora preoccupato di esaminare, facendone vedere la polvere o qualunque altra cosa abbiano in serbo per chi vuole esplorarli. Ed è qui che, ancora una volta, viene fuori la grande forza del metodo Wu Ming, che per me è la capacità di raccontare la Storia dei popoli attraverso lo sguardo della gente qualunque. Ne L'armata dei sonnambuli, le voci narranti saranno 5, le linee narrative 4. Non mancherà quella femminile (quasi proto-femminista) e nemmeno quella in grado di restituire lo spirito di un'epoca (attraverso un personaggio coinvolto in un fenomeno all'epoca assai in voga, quello del mesmerismo di Franz Anton Mesmer). C'i sarà ovviamente il cattivo, corrispettivo nero di Robespierre, che si muove all'interno del manicomio di Parigi. La voce più interessante sarà forse, però, quella della plebe parigina: una sorta di coro greco, chiosa @reppomanuno (per chi non lo sapesse, curatore della collana Stile libero di Einaudi, anche lui sul palco). Coro sì, ma ubriaco, replica WM4!
Ancora una volta, quindi, quello che il collettivo di scrittori offrirà ai suoi lettori sarà una decostruzione dell'evento mitologico e fondante, grazie alla narrazione corale che si incrocia con quella di osservatori in qualche modo privilegiati dei grandi cambiamenti della Storia.
Adriano Prosperi e l'ambiguità del perdono
Chiesa di S. Agostino, Pietrasanta |
Nella suggestiva Chiesa di S. Agostino, psichedelica al punto giusto, sono andata invece ad ascoltare Adriano Prosperi. Grande passione intellettuale dei miei anni dell'università, Prosperi è a Pietrasanta per parlare del suo nuovo saggio, Delitto e perdono, in uscita a settembre per Einaudi. Titolo di dostoevskiana memoria che racchiude un'esplorazione della pena di morte nell'Europa cristiana fra XIV e XVIII secolo. Il libro, ci ha raccontato lo storico, ha cominciato a nascere quasi 30 anni fa, quando Prosperi vide a Bologna questa meravigliosa testimonianza di devozione popolare:
Compianto sul Cristo morto, di Niccolò dell'Arca, chiesa di Santa Maria della Vita, Bologna © Andrea Samaritani / Meridiana Immagini |
Si tratta del famoso e straordinario Compianto sul Cristo morto, gruppo scultoreo eseguito da Niccolò dell'Arca sul finire del '400 su commissione della Confraternita dei Devoti Battuti. Il nome è già tutto un programma e di Confraternite, soprattutto di quelle che si preoccupavano di portare conforto e di stimolare il pentimento nei condannati a morte, parlerà moltissimo Delitto e perdono. Eccola la crepa di cui parlano i Wu Ming e in cui Prosperi affonda il bisturi dello storico: com'è possibile – si chiede lo studioso – che una religione in origine pacifista come quella cristiana, nata in opposizione alle violente pratiche pagane, abbia potuto tollerare al suo centro e per secoli la pratica della pena di morte, addirittura eseguendo una serie di attività ad essa collegate, come l'accompagnamento all'esecuzione dei condannati?
In questo scarto fra condanna in linea di principio e legittimazione della pena capitale (che si fa tanto più largo quanto più la pena viene spettacolarizzata), lo storico indaga la passione e la predilezione del cattolicesimo italiano per il perdono come strumento di controllo delle masse di fedeli, mettendole per esempio a confronto con la preferenza del cristianesimo americano per la giustizia come strumento di consenso invece che di conversione.
Prosperi racconta a un pubblico esterrefatto che a Pisa, nel '500 (agli albori dell'anatomia), la dissezione pubblica dei condannati a morte era (oltre che un ottimo modo per procurarsi cadaveri per la ricerca medica) una delle attrazioni principali del Carnevale e chiarisce che la sua, come tutte le storie che raccontano l'Europa pre-industriale (Ancien Régime, si diceva una volta) è una storia di corpi. Stiamo dalle parti di Foucault, presso corpi che assumono un valore immediatamente politico, tramiti definitivi fra il sistema sociale e la dimensione individuale, ma anche strumenti e allo stesso tempo vittime del potere. Degli anti-monumenti, ma altrettanto importanti da studiare.
Perissinotto e le colpe dei padri
Il romanzo di Alessandro Perissinotto si intitola Le colpe dei padri (Piemme), fra i finalisti del Premio Strega, anche se né autore né editor ne hanno fatto menzione durante tutto l'incontro, forse per una forma di pudore verso gli altri ospiti del festival, essendo questo libro uno dei pochi già disponibili per i lettori.
Perissinotto, esploratore dei generi poliziesco e noir, ha scritto un libro ambientato a Torino che incrocia due periodi storici: il presente e gli Anni di piombo. Il suo protagonista, un manager affermato che si trova a dover gestire una delicata situazione aziendale, viene un giorno scambiato per un'altra persona. Eccola, la crepa che consente all'autore di innescare una riflessione sulla fragilità dell'identità e sulla fallibilità dei ricordi, propri ma anche generazionali. Cosa sappiamo veramente di un'epoca storica? Sono i fatti ciò che ricordiamo o il modo in cui i grandi eventi hanno toccato le nostre vite? Conosciamo davvero gli Anni di Piombo, che ciclicamente si riaffacciano sul panorama nazionale, soprattutto in fasi di crisi, come spettri rimossi e mai lasciati andare per davvero?
I ricordi - avverte l'autore - sono importanti perché possono assumere il valore della testimonianza, ma attenzione a credere che raccontino la verità: spesso, sono memorie di narrazioni altrui, non ciò che resta di un'esperienza vissuta.
Ci restano impressi nella mente perché qualcuno ha saputo (o voluto) raccontarceli bene e quando questo è il caso sono pericolosi perché diventano i ricordi di un'intera generazione, un monumento collettivo che schiaccia l'esperienza vissuta e di cui è difficile liberarsi. Memoria condivisa, ma solo in superficie. Tanto vale allora provare a invertire l'ordine dei fattori, la sequenza delle cose. Mescolare le carte per vedere se ciò che ne esce è la verità dei fatti e della Storia, come nell'incipit del romanzo:
"Questa storia inizia con un pugno in faccia e finisce con un colpo di pistola, o viceversa, a seconda dell’ordine che vogliamo dare alle cose, perché l’ordine è solo una convenzione e il tempo, che sembra allineare gli eventi lungo sequenze immutabili, talvolta si ritorce su se stesso come legno di vite."
Rivoluzione francese, riti legati alla morte, Italia degli anni di piombo... cosa rimane? Il mito vivente, ovvio.
Quando bastava un grillo per essere felici
E vero mito è Raoul Casadei. Proprio lui, sì, quello dell'orchestra di liscio che porta il nome della sua famiglia. Anni di successi e un seguito che unisce più generazioni. Persino @BiNbaa, che secondo me alla trentina non ci arriva, ha una confessione da fare.
Che ci fa un signore del genere ad Anteprime, direte voi. Viene a presentare la sua autobiografia e a cantare, che altro?
A cantare, in realtà, è pure il pubblico. Siamo seduti da appena 3 minuti e guardate cosa accade:
Casadei racconta gli anni del fascismo e gli esordi di carriera, venuti dopo 17 anni da maestro elementare e nati dalla voglia di seguire le orme dello zio Secondo, che dell'orchestra è stato il fondatore nel 1928. Il liscio è stato un vero e proprio fenomeno sociale, spiega, soprattutto nell'Italia del dopoguerra, segnata da grandi contraddizioni politiche e sociali. Mentre i sindacati andavano proclamando l'importanza dei diritti dei lavoratori, gente come noi – continua sempre Casadei – ha lanciato alla gente un messaggio nuovo e cioè che andava bene lavorare, ma che si aveva il diritto del proprio tempo libero.
Dagli aneddoti e dalle storielle che seguono, riemerge un'Italietta piccolina, se volete, e perduta, però la tentazione di credere che davvero le serate in balera fossero il riflesso di una società in cui ancora ci si divertiva con poco, ci si guardava negli occhi a lungo e magari ci si innamorava al primo sguardo (e al primo ballo) è forte, fortissima. Quando Bastava un grillo, come recita il titolo del libro, per essere felici (e "Ci basta un grillo per farci sognare", cantava l'Orchestra Casadei nel 1974, in La mazurka di periferia).
Anche questo, in fondo, è ormai un mito, quello di un paese che non c'è più e forse non c'è mai stato, ma a cui ci piace credere perché ci dà la speranza di una società più semplice e a misura d'uomo che forse un giorno sapremo ricreare. Un pensiero che ci piace pensare perché ci fa bene, ci solleva. E ci fa cantare.
[Di miti e icone, si è parlato moltissimo anche nell'incontro con Francesco Bonami e Francesca Bonazzoli, ma vi ho tenuto impegnati fin troppo a lungo. Per cui, ve ne parlerò in un altro post :-)]
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