sabato 17 novembre 2012

Il colore dei ricordi

Pin It
Ieri sera ero in pizzeria. Non so dalle vostre parti, ma dove vado io a prendere la pizza da asporto (che ora si son spostati attaccati a casa mia e sono contenta), dove vado io dicevo, ci sono delle riviste dal mio punto di vista totalmente inutili. Parlano quasi tutte di sport e di automobili. Ieri sera, però, c'era un AD infiltrato, arrivato lì chissà come. Sfogliandolo, ho riconosciuto la casa di Curzio Malaparte, quella strana, costruita a picco su una scogliera dalle parti di Capri. Casa di spettri e di storie lontane.
Questa qui, per capirci, che io l'avevo vista una volta in un programma di Daverio tanti anni fa, chissà dove ho infilato il VHS:



Solo che io me la ricordavo bianca. Sul giornale era invece dipinta esternamente di un rosso mattone, quello che si dà alle case vecchie quando vengono ristrutturate, anche se prima erano bianche o di un altro colore. Perché fa elegante, dicono. Questa notte l'ho sognata ed era tornata bianca. Ancora adesso che ci penso da sveglia, non riesco a capacitarmi che sia di quel colore orrendo. Ho cercato in rete notizie di una ristrutturazione sventurata, ma niente. Devo arrendermi.
Mi pare che questo contenga qualche lezione sull'evidenza delle cose che soccombe davanti al ricordo e sul fatto che la realtà immaginata è sempre più forte di quella reale, ma non saprei dire quale.

mercoledì 3 ottobre 2012

Conversazioni e community management: la funzione odierna del narratore

Pin It
Nelle ultime settimane, sto curando per DOFVILLE (il blog di DOF Consulting, con cui lavoro) un ciclo di post di approfondimento su The Village. Si tratta di un gioco per lo sviluppo delle competenze sociali, che ruota attorno alla metafora del "villaggio" e i cui "abitanti" sono raffigurati in altrettante carte. Uno di questi personaggi è il Narratore e dato che, come avrete capito, il tema della narrazione mi appassiona molto, ho pensato di fondere qui i due post che lo raccontano :)

A chiunque sia capitato di dover convincere o, semplicemente, comunicare a qualcuno la bontà di una propria idea o le potenzialità di un progetto sa quanto sia difficile trasferire in parole l'astrazione di un concetto o la visione di un futuro possibile. I mondi interiori a partire dai quali comunichiamo sono così ricchi e complessi, talvolta così distanti da quelli dei nostri interlocutori, che diventa davvero una sfida riuscire a intendersi. Tanto più se a dover essere comunicata è un'idea di impresa, un'iniziativa di sviluppo, un sistema organizzativo. Ultimamente, si fa un gran parlare di storytelling, che altro non è se non l'attualizzazione in chiave moderna e organizzativa di una delle dimensioni più antiche delle comunità sociali: la narrazione.

domenica 2 settembre 2012

Mi piace, non mi piace. Facebook prima di Facebook

Pin It

Nel passaggio che segue, Arbasino descrive la natura delle lettere ai giornali. Erano gli anni '80 e i social media ancora là da venire. Ora, provate a sostituire "lettere ai giornali" con "commenti su Facebook". Gli strumenti di comunicazione cambiano, i bisogni espressivi no.

Quelle italiane [lettere ai giornali] dànno per lo più informazioni sullo stato d'animo e d'umore del mittente: mi piace, non mi piace; sono d'accordo, o non sono d'accordo. A ciò si aggiunge sovente il tentativo di spiritosaggine, sarcasmo, battuta: cioè, dopo aver comunicato le proprie impressioni, il bisogno di mostrarsi persone "di mondo", deplorando la nequizia inqualificabile dei tempi ove siamo arrivati.
Alberto Arbasino, Un paese senza, Garzanti, Milano 1990, p. 243.

lunedì 20 agosto 2012

Spegni lo smartphone al ristorante? E io ti faccio lo sconto

Pin It

C'è un ristorante, a Los Angeles, che ti fa lo sconto del 5% se rinunci a portare con te al tavolo il tuo smartphone. L'invito è quello di lasciarlo all'entrata, chissà che uno dica che accetta di spegnerlo e poi non ci ripensi. Pare che da quando è stata avviata l'iniziativa (all'incirca un mese) dal 40 al 50% dei clienti abbia approfittato dell'offerta. Il proprietario, che è anche lo chef, spiega che il suo è un ristorante che cerca di ricreare un ambiente che sia il più possibile famigliare e che l'invito a lasciare i cellulari all'entrata nasce dalla voglia di “semplificare” e di aiutare le persone a “rientrare in contatto” fra loro.
Anche da noi, si comincia ad assistere a qualche tentativo di regolamentazione della tecnologia mobile. Per esempio a Udine, dove da qualche mese il Comune ha lanciato la campagna per la diffusione di zone «cell free», anche negli esercizi pubblici, che vengono invitati ad esporre cartelli che recitano «locale libero da cellulare». In pratica, si chiede ai clienti di spegnere il cellulare o, almeno, silenziarlo.

Ora, non discuto che la presenza degli smart phone nei locali pubblici possa essere a volte seccante e intrusiva, e che l'educazione delle persone spesso difetti (in questo, come in moltissimi altri ambiti), ma mi colpiscono sempre gli inviti a rallentare l'utilizzo della tecnologia per favorire il ritorno a una presunta età dell'oro della comunicazione, come se il deterioramento dei rapporti personali dipendesse dal diffondersi dei cellulari o di qualunque altro strumento. Un po' come dire che se ci sono tanti morti sulle strade è perché circolano tante macchine, non perché i guidatori corrono o non rispettano il codice. Se esco a pranzo o a cena con qualcuno che, invece di darmi bada e attenzione, controlla i messaggi, le mail o le notifiche dei social network, non ritengo che la “colpa” sia dello smartphone che glielo consente, ma mi faccio delle domande sul rispetto che l'altra persona nutre nei miei confronti e su quanto gli interessi trascorrere veramente del tempo con me.

venerdì 17 agosto 2012

Una giornata al mare

Pin It


Anche in spiaggia, come ovunque, la cosa più interessante da osservare sono le persone e i loro giochi.

mercoledì 23 maggio 2012

I social media e la ricerca della relazione perduta

Pin It

Qualche tempo fa, mi è capitato di leggere un articolo di Alexandra Samuel, direttrice del Social + Interactive Media Centre presso l'Università Emily Carr di Vancouver, in Canada. In quel pezzo, a mio parere molto interessante e intitolato Own It: Social Media Isn't Just Something Other People Do, Samuel si interroga sulla natura delle conversazioni online. L'autrice cita un altro pezzo di Sherry Turkle apparso sul NYT, in cui la psicologa (ma anche docente presso il Massachusetts Institute of Technology e e autrice di un saggio che si intitola Alone Together) spiega con un certo allarmismo che viviamo ormai in un “universo tecnologico in cui comunichiamo di continuo, sebbene abbiamo sacrificato le conversazioni in nome di semplici connessioni”. E ancora. “Nel silenzio delle connessioni, le persone traggono conforto dal fatto di essere in contatto con un sacco di gente, che però viene attentamente tenuta alla larga”. Da dove nascerebbe questa nuova modalità di gestione dei rapporti sociali? Dal fatto che le relazioni fra essere umani sono complesse e richiedono impegno. La tecnologia, sostiene la Turkle, ci consente di “ripulire” la relazione, rendendola meno scomoda, più gestibile. In altre parole, la parte di vita che conduciamo online ci fa allontanare come persone, facendoci dimenticare quanto è complicato ma pieno di soddisfazioni l'incontro fisico con l'Altro. Chi segue preferibilmente questa via? I giovani, ovviamente, i cosiddetti “nativi digitali”, quelli per cui l'utilizzo della tecnologia è parte integrante della vita di ogni giorno. Non dell'online o dell'offline, della vita e basta.

mercoledì 16 maggio 2012

Twitter, Storify e le nuove narrazioni: una chiacchierata con jumpinshark

Pin It

Come si fa a raccontare storie in forme nuove e con nuovi linguaggi? Tema che credo stia a cuore a quelli fra noi che trascorrono molto tempo online e si chiedono come le nuove tecnologie stiano cambiando, oltre al nostro modo di vivere, anche il nostro modo di comunicare e narrare.
Gli approfondimenti non sono mai troppi, per cui ben vengano occasioni come quella promossa da 404: file not found, "rivista online di indagine, analisi, inchiesta, una comunità di under 30 che si è formata dando continuità ad esperienze di instant journalism createsi all’interno del movimento dell’Onda del 2008, all’università di Siena".
Si tratta di “Costruire storie: nuovi linguaggi e nuove pratiche di narrazione”, un ciclo di incontri che si tiene a Siena fino all'8 giugno, presso l'Aula Magna della Facoltà di Lettere e filosofia, per riflettere insieme, dentro e fuori la rete, sui nuovi strumenti di narrazione, sul loro utilizzo e su ciò che ne può nascere.

Fra oggi e domani ci saranno il secondo e il terzo appuntamento. Oggi tocca a Vanni Santoni, Gregorio Magini ed eFFe; domani a jumpinshark e Flavio Pintarelli.
Mi interessa particolarmente quest'ultimo appuntamento, dal titolo “Nuovi linguaggi #2: twitter e lo storify”, realizzato in collaborazione con Lavoro culturale e pensato per discutere di Twitter, Storify e nuove pratiche di narrazione online.

L'iniziativa è molto interessante, per cui decido di chiedere via Twitter a @jumpinshark (presenza consolidata e misurata su Twitter, un blog interessantissimo e un lavoro pionieristico su Storify che tiene testa degnamente al miglior giornalismo tradizionale) se ha tempo e voglia di fare una chiacchierata sul tema dell'incontro. La risposta arriva subito e ci mettiamo d'accordo. Dopo diversi tentativi con Skype (dovuti ai miei limiti di connessione) riesco a raggiungerlo e quello che ne nasce è una chiacchierata molto lunga, piacevole e interessante. Cerco di restituirvene i passaggi che ho trovato più stimolanti. Come sempre, il problema sta nello scegliere cosa tagliare...

lunedì 14 maggio 2012

Donne e startup: un rapporto complicato?

Pin It
Arianna Bassoli
"Bolla o meno, si fa certo un gran parlare di startup, in Italia come nel resto del mondo. E aumentando in generale il numero di articoli sul tema, viene a galla anche un argomento correlato: la scarsa presenza di donne.
Il 2012 è iniziato con un augurio da parte di Alberto Onetti, co-fondatore della business plan competition Mind The Bridge, affinché quest’anno sboccino più “startup rosa”. Mi sono trovata citata nell’articolo tra le donne italiane che “ci stanno provando” a portare avanti una startup, e ciò mi ha fatto sentire certamente lusingata, anche se, allo stesso tempo, etichettata come parte di un fenomeno che non sono sicura abbia senso esistere." 

Inizia così un bel post pubblicato oggi su chefuturo.it da Arianna BassoliInteraction designer con un percorso di tutto rispetto (un dottorato alla London School of Economics e anni di esperienza all'estero come ricercatrice), è tornata in Italia per diventare una startupper. Visto dall'esterno il mondo delle startup (soprattutto tecnologiche) sembra quasi un universo parallelo e migliore rispetto a quello delle organizzazioni, una dimensione in cui il merito la fa da padrone, dove è ininfluente chi tu sia, da dove vieni e quindi, ovviamente, di che sesso sei. Conti per la tua idea e basta. Beh, pare che non sia proprio così:

"il tema donne e startup è uno di quelli che spacca a metà l’audience, e non necessariamente con uomini da una parte e donne dall’altra." 

venerdì 4 maggio 2012

Condivido ergo sum: Twitter, il pensiero e la conversazione

Pin It

Udine, 6 maggio, prima giornata di una manifestazione che si chiama Vicino/lontano.
Alle 21.30 è in programma il confronto “Dove va la filosofia?”, fra Pier Aldo Rovatti e Maurizio Ferraris. Dopo mezz'oretta di fila e di ritardo sul programma, entriamo. La chiesa di San Francesco è strapiena e, come mi capita sempre in occasioni simili, mi stupisco della sproporzione numerica che c'è fra chi va a sentire dei filosofi parlare e il numero degli iscritti alle facoltà di Filosofia. Forse, la spiegazione sta nella frase con cui esordisce Rovatti: vi aspettavate un duello? Resterete delusi, perché anche se sul programma c'è scritto “confronto” e nonostante il fatto che da mesi ci lanciamo frecciate più o meno cattive dalle pagine di libri e giornali, noi non ci piegheremo alla logica del contraddittorio, dell'arena, del sangue. In breve, non siamo in televisione. (Le cose non sarebbero poi andate così, ma non è di questo che voglio parlare qui).

martedì 28 febbraio 2012

Pinterest e Aby Warburg: così lontani, così vicini

Pin It
Bevendo il caffè, spiego al @signorHulot cos'è e a cosa serve Pinterest. Quando accenno alla classificazione per board di immagini che sono tenute insieme da un titolo e la cui classificazione dipende unicamente da chi le colleziona e che quindi ci vede qualcosa di unificante, mi accorgo che dall'altra parte mi fissa uno sguardo dubbioso. “Come l'Atlante di Aby Warburg?”, mi sento chiedere. Dalla mia memoria universitaria sopita emerge un ricordo e improvvisamente mi rendo conto perché le board di Pinterest mi sono suonate subito così famigliari per metodo e natura. La chiave sta in una parola: Mnemosyne.

Cos'è Mnemosyne? E, soprattutto, chi era Warburg?

"Mnemosyne: una sequenza di immagini per osservare dal punto di vista culturale e scientifico la coniazione espressiva anticheggiante nella rappresentazione della vita internamente ed esteriormente mossa all'epoca del Rinascimento europeo."1

Se vi pare che non c'entri nulla con Pinterest, guardate qua:

Aby M. Warburg, «Mnemosyne-Atlas», Nr. 45, 1924

Iniziato da Warburg nel 1928, l'Atlante della memoria (in greco, Mnemosyne significa appunto memoria) finirà col comprendere un migliaio di immagini distribuite, nella versione finale del 1929 (anno in cui Warburg morì) su 60 pannelli di tela nera, di cui rimangono una quarantina soltanto. Stando agli appunti di lavoro e alla documentazione disponibile, appare evidente che le selezioni avvenivano su base tematica e che seguivano la riproposizione (per somiglianza o antinomia) - attraverso i secoli - di tutta una serie di temi stilistici classici. La rete era ancora molto di là da venire e le immagini (pagine di libri, fotografie, ritagli di giornale, annunci pubblicitari, ecc.) venivano appuntate da Warburg sui pannelli come in una sorta di collage.

mercoledì 15 febbraio 2012

Tutti pazzi per Pinterest (e anche i musei non stanno a guardare)

Pin It
Con il solito ritardo che contraddistingue il nostro paese, dove tutto deve prima essere testato a lungo altrove prima di meritarsi qualche tipo di considerazione, comincia a diffondersi anche qui da noi Pinterest. Di cosa si tratta? La definizione a mio avviso migliore l'ha già data Gianluca Diegoli in un suo post: “Pinterest è una via di mezzo tra un sito di bookmarking visuale e un microblog à la Tumblr”.
Che significa? Semplicemente che ti aiuta a salvare immagini che trovi in giro per la rete o che carichi dal tuo computer, a conservarle (con tanto di relativo link d'origine) in vista di una futura consultazione o utilizzo e – cosa non meno importante – a condividerle con chi ti segue, che può a sua volta “repinnarle” e pubblicarle fra le proprie immagini.
Ti puoi limitare a dire che un'immagine ti piace e questo non è comunque poco.

Mi pare di capire che Pinterest abbia dalla sua, rispetto ad altri siti che l'hanno preceduto, 3 aspetti potenzialmente interessanti.

martedì 14 febbraio 2012

L'amore ai tempi dei social media

Pin It

Leggi l'articolo How Social Media Has Changed The Relationship Game



giovedì 19 gennaio 2012

Sono un(a) ribelle, mamma

Pin It

Ci risiamo. Un'altra edizione del Trieste Film Festival apre le porte (questa sera, ed è la 23a volta, mica noccioline) a una settimana di cinema pressoché invisibile nelle sale italiane: documentari, fiction, cortometraggi, animazione (quest'anno non li ho contati, ma credo che siamo sui soliti 120 circa); anteprime italiane, scoperte di esordienti e riscoperte di grandi autori; eventi collaterali, incontri con gli autori, presentazioni di novità editoriali, ecc. Il tutto proveniente dai paesi dell'Europa centro-orientale.
Ci saranno autori esordienti (non solo fra i giovani, ma anche il recentemente scomparso Havel) che promettono grandi cose, autori famosi (il Manchevski di Prima della pioggia, fra gli altri) e premi Oscar che a Trieste verranno a tenere una masterclass (come István Szabó).
Contro ogni previsione, ci sarà anche una coda di quella che altrove ho definito senza pentirmene “una delle cose più belle che mi sento di aver fatto nella mia vita... la scusa che ho trovato per coniugare la mia passione personale per la musica con quella per il cinema ... una creatura strana, assolutamente indipendente e libera che il festival mi ha permesso di far crescere”. La presenza di Muri del suono/Walls of Sound, selezione dedicata ai film musicali prodotti nell'Europa centro-orientale, all'interno del festival di quest'anno è stata anche per me una sorpresa.